Così come ci appare oggi, è il risultato finale della ricostruzione sei/settecentesca, avvenuta in seguito ai disastrosi terremoti che colpirono Modica nel 1542, nel 1613 e nel 1693. Quest'ultimo, particolarmente devastante, colpì l'intera fascia sud-est della Sicilia, comunemente denominata Val di Noto. La ricostruzione, sontuosa e magnificente come mai prima, fu affidata al celebre architetto siracusano Rosario Gagliardi, già autore del San Giorgio in Ragusa.

La chiesa, riaperta con cerimonia solenne nel 1738, è a cinque navate, con 22 colonne sormontate da capitelli corinzi. Sontuosa e magnificente, custodisce al suo interno dipinti preziosi, come gli "eventi del Vangelo e della vita di San Giorgio", realizzato da Girolamo Alibrandi nel 1513, conosciuto come il Raffaello di Sicilia; “L'Assunta”, un dipinto di scuola toscana, del tardo-manierista fiorentino Filippo Paladini (1610); una pittura naif su legno, “La Natività”, del pittore milanese Carlo Cane (attribuzione incerta), della seconda metà del Seicento; la tela (1671) del “Martirio di Sant'Ippolito” del Cicalesius. E ancora è possibile ammirare una statua marmorea di scuola gaginiana, la Madonna della Neve della bottega di Mancini e Berrettaro, del 1511; il polittico dell'altare maggiore, composto da ben 10 tavole, attribuite per molto tempo al messinese Girolamo Alibrandi come opera del 1513, ma, secondo studi più recenti, in realtà opera al pittore tardo manierista modicano Bernardino Nigro del 1573. La "meridiana pavimentale" e il "tesoro" della chiesa sono particolarmente degni di nota. Quest'ultimo include, tra gli altri notabili pezzi, la "Santa Arca", un'opera d'arte rivestita in argento, che contiene le reliquie del Santo. Il tempio è dedicato ai martiri San Giorgio e Ippolito, e fra le navate è possibile ammirare un monumentale organo con 4 tastiere, 80 registri e 3000 canne, perfettamente funzionante, costruito tra il 1885 e il 1888 dal bergamasco Casimiro Allieri. L'imponente duomo, che presenta un'ardita facciata a torre, si erge su una scalinata di 250 scalini, realizzata nel 1818 per volontà del Gesuita Francesco di Mauro, che, quasi dal Corso, attraversando le due sottostanti vie, introduce la splendida facciata.